Negli ultimi anni, il concetto di Welfare Aziendale — cioè quell’insieme di servizi, iniziative e benefit che un’azienda dedica al benessere dei propri dipendenti — sta acquisendo un’importanza sempre crescente.
Non è più visto come un “extra carino”, ma sempre più come una leva strategica per migliorare la performance, la retention, l’immagine e la cultura aziendale.
È in questo contesto che nasce l’idea di “Welfare ROI” (Return On Investment del Welfare), ossia l’idea che investire nel benessere delle persone non sia solo un costo, ma un investimento in grado di generare un ritorno tangibile, sia in termini economici sia in termini di performance e clima aziendale.
Ma andiamo nel concreto: in che modo un miglior benessere dei dipendenti si traduce anche in migliori risultati per l’azienda?
Per capirlo, serve imparare a interpretare il concetto di “ritorno”, per trasformare il Welfare da una spesa accessoria a un investimento strategico concreto.
C’è una diretta correlazione tra benessere e performance del lavoratore
Quando parliamo di “benessere” in azienda, non ci riferiamo solamente a benefit materiali o a un buono stipendio.
Il concetto di “benessere” dev’essere olistico e includere anche:
● un equilibrio tra lavoro e vita privata (work–life balance),
● salute fisica e mentale,
● wellbeing,
● un ambiente di lavoro sereno e collaborativo,
● inclusione;
● riconoscimento, rispetto e valorizzazione.
Quando tutti questi aspetti vengono curati, l’effetto sull’individuo può essere profondo: maggiore motivazione, soddisfazione, coinvolgimento e fiducia.
E - come confermato anche dal più recente rapporto Censis-Eudaimon - tali componenti influenzano direttamente la qualità del lavoro, la produttività, la creatività e l’efficienza; sono definibili come un moltiplicatore di produttività, resilienza e talent attraction.
In pratica: un ambiente di lavoro che favorisce il benessere può trasformare un “dipendente che arriva e se ne va” in un “dipendente impegnato, efficiente e motivato.
Dipendenti felici = ROI “Return On Investment”
Potrebbe sembrare una frase fatta “dipendenti felici uguale ritorno sull’investimento”, ma dietro questa affermazione ci sono numeri, risparmi e vantaggi reali.
I dipendenti felici generano valore per una serie di motivi non trascurabili, tra cui la riduzione dell’assenteismo e del numero delle giornate di malattia, che si traducono in un minor stress lavoro correlato e in una maggior continuità, riducendo i sia i costi diretti che indiretti (per ripiano dei turni, perdita di produttività, ecc.).
Anche i costi sanitari e di “salute aziendale” risultano ridotti, perché una forza lavoro più sana e consapevole tende generalmente a produrre meno spese mediche e meno richieste di rimborsi o assistenza.
Più retention e meno turnover dei dipendenti, che si sentono supportati e valorizzati e meno incentivati a cambiare lavoro, si traduce anche in ridotti i costi di recruiting, selezione, onboarding e formazione.
Un lavoratore motivato, mentale e fisicamente in salute, tende insomma a offrire un contributo qualitativo maggiore, quanto a produttività, creatività, proattività e performance.
Infine, il valore reputazionale non ha prezzo!
Un’azienda che “fa Welfare” può anche rafforzare il proprio employer branding, attraendo talenti migliori e favorendo ulteriormente una cultura aziendale solida e radicata, con un impatto reale nel medio/lungo termine (nonostante questi risultati possano sembrare apparentemente difficili da quantificare).
In media, si stima che il ROI del Welfare possa infatti variare tra il 15% e il 25%, con benefici che superano il semplice ritorno economico.
Ma come si arriva a tale stima?
Il ROI del Welfare Aziendale: come misurarlo e quanto incide
Ecco una formula semplice per stimare un ritorno economico:
ROI = (Benefici netti – Costi investiti) / Costi investiti
Dove i benefici netti rappresentano la somma di risparmi e guadagni diretti e indiretti generati (minori giorni di assenza, minor turnover, migliori performance, risparmi sanitari, ecc.), mentre i costi investiti rappresentano il totale delle iniziative di Welfare implementate.
Per trasformare davvero il Welfare in ROI, occorre però sempre definire anche KPI chiari, come tasso di turnover e di assenteismo, produttività, engagement, costi diretti sostenuti e risparmi o benefici derivanti.
Facciamo un esempio pratico: se un’azienda che investe 100.000€ all’anno in Welfare: servizi di benessere, programmi salute, formazione, iniziative di work–life balance; dopo 12 mesi (grazie a: – 20% di assenteismo, – 15% di turnover, +10% di produttività media per dipendente) ottiene risparmi e guadagni complessivi stimati in 300.000€.
Il ROI sarebbe quindi: (300.000 – 100.000) / 100.000 = 2 → cioè 200%: per ogni euro investito, ci sono due euro di ritorno “puro”.
Naturalmente si tratta di stime che richiedono dati reali, monitoraggio regolare e analisi attenta, ma il modello permette di trasformare impressioni qualitative in numeri concreti.
In conclusione, il concetto di “Welfare ROI” rappresenta una svolta importante nel modo di intendere il benessere aziendale: da costo variabile e discrezionale a investimento strategico e misurabile.
Quando il Welfare viene progettato con cura — definendo obiettivi chiari, monitorando KPI come assenteismo, turnover, produttività, engagement — può restituire risultati concreti: minor turnover, maggiore motivazione, risparmi tangibili, migliore efficienza e reputazione.
In un mondo del lavoro sempre più dinamico e competitivo, investire nel benessere delle persone non è più un gesto “di buon cuore”: è una decisione aziendale intelligente. E con un’attenta misurazione del ROI, può diventare uno dei pilastri del successo dell’impresa — anche sul piano economico.