Calo delle nascite
17 Novembre 2025

Calo delle nascite: sempre meno lavoratori e talent attraction agguerrita

Gli ultimi dati sull’andamento demografico in Italia lanciano un segnale che va ben oltre la statistica: la caduta delle nascite sta assumendo dimensioni tali da influenzare l’intero ecosistema lavorativo, sociale ed economico.

Nel 2024, le nascite si sono attestate intorno alle 370 mila unità, registrando un calo rispetto al 2023. Tale fenomeno si innesta in un contesto in cui l’età media della popolazione sale, la platea di giovani adulti in età attiva si riduce, e le aziende cominciano a sentire il peso di una disponibilità di risorse umane sempre più scarsa.

Ma è davvero solo una questione di “non volere figli”? Oppure viviamo una generazione che vorrebbe una famiglia, ma non trova le condizioni per farlo?

Quali sono le conseguenze anche per quanto riguarda il mercato del lavoro?

In questo articolo analizziamo insieme come le difficoltà di far coesistere lavoro e famiglia svolgano un ruolo cruciale nella flessione della natalità e perché il calo delle nascite finisce inevitabilmente per alimentare anche una carenza di forza lavoro, generando una “talent war” sempre più accesa.

Qual è quindi, oggi come oggi, la scelta più strategica?

Arriviamoci insieme.

Perché le nascite sono in calo: scelta personale o complessità sociale?

Il dato è ormai evidente: in Italia siamo in presenza di un vero e proprio «inverno demografico». Dal 2008 ad oggi, le nascite sono diminuite di circa un terzo.

Nel 2024 il numero di nuovi nati è di circa 370 mila, il che testimonia un trend che non accenna a invertirsi.

Dati aggiornati sulla natalità in Italia nel 2025

Ecco alcuni numeri chiave che aiutano a comprendere l’ampiezza del fenomeno:

● Nel 2024 in Italia sono state registrate circa 370.000 nascite, un calo di circa 2,6% rispetto al 2023.

● Il numero medio di figli per donna è sceso a 1,18 figli per donna nel 2024, il minimo storico.

● Nei primi due mesi del 2025, le nascite sono diminuite dell’8,3% rispetto allo stesso periodo del 2024 (57.000 nati nei primi due mesi) secondo i dati preliminari.

● L’analisi mette in evidenza che la diminuzione è dovuta sia al minor numero di donne in età fertile, sia a tassi di fecondità più bassi.

● La demografia segnala anche un invecchiamento crescente della popolazione e una riduzione della forza lavoro potenziale, con conseguenze sulla sostenibilità sociale ed economica.

Questi dati rafforzano l’urgenza del tema: non si tratta di un calo moderato o temporaneo, ma di una vera tendenza strutturale, che richiede risposte sia dal lato pubblico che aziendale.

Perché le nascite sono in calo?

I fattori che influiscono in tal senso non possono essere ridotti a una mera analisi matematica, ovviamente si tratta di un tema delicato, complesso e anche estremamente soggettivo; nonostante ciò, è comunque possibile mettere nero su bianco alcuni punti chiave, comuni ai più.

Indubbiamente, una riduzione della popolazione femminile in età fertile non aiuta: ci sono infatti sempre meno donne nei “picchi” tradizionali di età adatta per la maternità.

Le attuali condizioni economiche e occupazionali incerte sicuramente fanno il resto: la precarietà, i contratti temporanei, la difficoltà nel mettere in piedi un progetto di vita che includa figli, incidono inevitabilmente sulla decisione di procreare.

E - a questo contesto instabile - si aggiunge anche la complessità di conciliazione degli impegni lavoro‑famiglia.

Una quota ancora significativa di madri in Italia lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio (circa il 20 %) e, nel caso di famiglie con figli con disabilità, la quota sale addirittura al 35%.

Il problema mette in luce ancora una volta una persistente disparità sul luogo del lavoro, che non sempre prevede un approccio davvero equo e inclusivo.

Infine, anche le scelte personali e culturali fanno la loro parte.

Molte coppie scelgono volontariamente di non avere figli o di averne meno, anche per ragioni legate alla carriera, ai valori personali, all’ambiente, ma non solo; spostano così in parte la prospettiva da una questione puramente strutturale a una più ampia dimensione di scelta individuale.

Ma perché non si fanno più figli?

La risposta a questa domanda non può quindi che essere “ibrida”: non è solo che «non si vogliono figli», ma - molto spesso - che «non si trovano le condizioni adatte» per farlo con fiducia.

Se la condizione lavorativa è instabile, gli orari sono poco flessibili, il supporto familiare o sociale è debole e il costo dell’adolescenza dei figli è elevato, la decisione di rimandare o rinunciare nasce più da fattori oggettivi che da puro disinteresse.

Lavoro e famiglia: una la difficile convivenza?

La coesistenza tra impegni professionali e responsabilità familiari è uno dei pilastri critici, quando si parla di natalità e di talento[1] .

In un mondo del lavoro che cambia sempre più rapidamente, costruire una “vita con figli” può diventare una sfida.

Quando gli orari di lavoro non sono flessibili o sono sovraccarichi, risulta difficile gestire figli, scuole, attività extracurriculari e vita familiare.

Inoltre, sembra impossibile, ma ancora oggi la maternità/paternità può comportare delle penalizzazioni in ambito lavorativo.

L’assistenza all’infanzia, i costi elevati dell’educazione e la logistica famigliare complicano ulteriormente le cose, in quanto creare un ambiente familiare sostenibile richiede risorse che non tutte le coppie hanno.

In tale ambito, è quindi FONDAMENTALE il sostegno da parte delle aziende, che non possono più non contemplare politiche di Welfare adeguate, con turni soft, telelavoro, congedi parentali agevolati e così via…

Il ruolo del Welfare Aziendale per la natalità

Torniamo quindi al tema del Welfare , per capire come entra in gioco il mondo aziendale e l’importanza di offrire politiche di sostegno che supportino i lavoratori‑genitori, rendendo più “fattibile” la scelta di avere figli.

Tutto ciò non solo come scelta eticamente corretta, ma anche come elemento strategico, non solo per la natalità, ma anche per la fidelizzazione dei talenti.

Le imprese che vogliono restare competitive, non possono infatti ignorare il tema della conciliazione vita‑lavoro e della responsabilità familiare.

Flessibilità oraria o job‑sharing per genitori, smart working o modalità ibrida che faciliti la gestione della famiglia, congedi parentali aziendali integrativi rispetto a quelli di legge e/o supporti pratici (asili in azienda, convenzioni con strutture per l’infanzia, servizi di babysitting) sono solo alcuni esempi di ciò che le imprese possono fare per sostenere i propri dipendenti.

Bisogna però prima fare un piccolo passo indietro, perché tutto nasce ovviamente da una radicata cultura aziendale inclusiva, che riconosca il valore della genitorialità come fase naturale della vita e non come “ostacolo” alla carriera.

Buone pratiche aziendali di Welfare familiare

Per le imprese che vogliono intervenire sul fronte della conciliazione lavoro‑famiglia e costruire un ambiente favorevole alla genitorialità, gli elementi di base da tenere sempre a mente sono 3:

  1. Un piano di Welfare Aziendale parte innanzitutto dall’analisi dei bisogni dei dipendenti (questionari, focus group) per capire quali strumenti risultano più utili. Non esiste un piano di Welfare Aziendale giusto a prescindere, la personalizzazione è fondamentale.
  2. Devono essere privilegiate soluzioni "time-saving", ovvero che permettano al genitore di risparmiare tempo (es. asili nido aziendali, babysitting convenzionato, servizi domiciliari), incidendo concretamente sulla vita quotidiana.
  3. Il Welfare Aziendale non è solo un plus per l’azienda; può dare riduzione del turnover, miglioramento del clima interno, maggiore motivazione e, in alcuni casi, anche vantaggi fiscali.

Facciamo alcuni esempi…

● Molte PMI che hanno introdotto orari flessibili, congedi parentali integrativi, spazi per l’allattamento, e politiche di rientro al lavoro dedicate dopo la maternità/paternità.

● Il piano familiare del governo indica il Welfare Aziendale come elemento fondamentale per il sostegno alla genitorialità e come leva di politica familiare.

● Le esigenze maggiormente riscontrate dai genitori lavoratori oggi includono: avere il figlio “vicino” o accesso agevolato a strutture, percorsi di sostegno per il rientro al lavoro dopo la gravidanza, supporto non solo per le mamme ma anche per i papà.

Integrare nel pacchetto di Welfare servizi legati alla genitorialità (es. bonus asilo nido, convenzioni con strutture per l’infanzia, tutoring genitori‑dipendenti…) è quindi fondamentale, così come anche sviluppare modalità di lavoro flessibile o ibrido, che consentano al genitore di gestire impegni familiari senza penalizzazione professionale.

Anche perché - come dicevamo - il calo delle nascite non si ripercuote solo sulla società, ma anche il mondo del lavoro ne paga le conseguenze.

Il calo delle nascite e le conseguenze sul mercato del lavoro

Quando diminuiscono le nascite, il fenomeno va ben oltre l’aspetto sociale: tocca direttamente la disponibilità di forza lavoro, la composizione generazionale degli assetti aziendali e la competizione per i talenti.

Le stime della Organisation for Economic Co‑operation and Development indicano che per il periodo 2023‑2060 la popolazione in età lavorativa in Italia potrebbe calare del ~34 %.

C’è già stata una riduzione della popolazione in età da lavoro (15‑64), rispetto a cinque anni fa: ci sono oggi circa 750 mila persone in meno.

La minore “offerta” di lavoratori rende quindi più acuta anche la lotta per attrarre profili qualificati, generando una vera e propria “guerra dei talenti”.

Talent attraction sempre più agguerrita

Le aziende si trovano oggi a dover competere non solo sul compenso, ma anche su condizioni di lavoro, cultura aziendale, opportunità di crescita, equilibrio vita‑lavoro, inclusione...

In altre parole, quando i candidati sono meno numerosi, le leve di differenziazione diventano fondamentali.

Per le organizzazioni ciò significa:

● ridisegnare i pacchetti retributivi e non‑retributivi per renderli più attraenti;

● curare l’employer branding, l’immagine dell’azienda come luogo in cui si può conciliare vita e lavoro, fare carriera, crescere;

● investire in formazione interna e mobilità, per trattenere e valorizzare le persone.

In una logica strategica, l’attrazione diventa quindi più costosa e complessa: è allora che entra in gioco una riflessione preventiva sulla fidelizzazione.

Trattenere i talenti in azienda, prima che attrarre

Arrivati a questo punto, conviene interrogarsi su quali priorità debbano avere oggi le aziende e i policy‑maker.

Certamente attrarre nuovi talenti rimane cruciale in un contesto di diminuita disponibilità di forza lavoro, ma forse è ancora più importante focalizzarsi su ciò che si può controllare subito: la famosa “talent retention” ossia trattenere i talenti.

Mettere in campo strategie per creare un ambiente di lavoro sano, equo, sostenibile, che riconosca il valore della persona nella sua interezza — lavoratore, genitore, cittadino — può essere il vantaggio competitivo di domani.

Non solo per aumentare la soddisfazione e la fedeltà dei collaboratori, ma anche per evitare che le migliori risorse vadano altrove.

In un mondo in cui “nuovi talenti” sono sempre più difficili da reperire, diventare un’azienda in cui i talenti scelgono di restare — e generare, se lo desiderano, anche un contesto favorevole alla famiglia — potrebbe essere una delle soluzioni più lungimiranti.

Perché investire oggi nell’offrire un giusto equilibrio tra vita familiare e lavoro, nel Welfare Aziendale e nella qualità del lavoro significa non solo rispondere alla crisi demografica, ma anche costruire un’organizzazione pronta per il futuro.


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