Il Life@Work Index, sviluppato da Eudaimon, è un sistema completo di misurazione del welfare che indaga non solo cosa fanno le aziende e come lo fanno, ma in particolare quantifica il valore generato a beneficio sia delle proprie persone sia delle organizzazioni stesse, che sia esso tangibile o intangibile.
Perché è così importante misurarsi per creare engagement aziendale?
È davvero una sfida quella di guardare al proprio interno per comprendere se è davvero la strada giusta quella intrapresa.
- L’impegno che ci hai messo;
- l’attenzione che hai concentrato sulle attività di sviluppo;
- il tempo che hai impiegato per scegliere i servizi migliori idonei a rispondere e, in qualche caso, a prevenire le esigenze dei tuoi collaboratori;
devono essere per forza misurati, lo sai anche tu. Non possono essere momenti da buttare senza alcuna analisi.
Immagina di smettere di controllare i numeri presenti nel bilancio aziendale. Dare–avere, attivo–passivo, entrate–uscite. I colleghi dell’amministrazione lo sanno, è già difficile farli tornare con una revisione continua!
Immagina che tutto diventi una stima, il tuo budget di area non è più così definito e ben ragionato, ma si limita ad ipotizzare a grandi linee che, ciò che era successo l’anno scorso, sì beh, la situazione rimarrà bene o male la stessa. Tu che ne pensi?
Il mondo si muove velocemente, il digital matura, i social si evolvono e tutti noi siamo in corsa perché vogliamo stare al passo con i cambiamenti.
Corri, corri e poi?
Sicuro di correre nella giusta direzione?
C’è un momento in cui devi fermarti, guardarti attorno e rifiatare.
La sfida a cui ti trovi di fronte è quella di sottoporre le tue performance a misurazione: è davvero un’opportunità per la tua organizzazione. Ti permette di guardare anche al di fuori e di migliorare il tuo itinerario, senza rischiare di avere scivoloni improvvisi durante il percorso.
“Misurare affinché le aziende si guardino dentro e ottimizzino i rispettivi piani welfare, anche attraverso il confronto col mercato, che nel caso di specie è rappresentato dal benchmark delle imprese presso le quali la metodologia è già stata applicata. “
Queste le parole di Edoardo Zaccardi, Senior Consultant in Eudaimon, mentre ci sta presentando le potenzialità del Life@Work Index, la prima metodologia di misurazione del welfare sviluppata in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano.
La consapevolezza di quanto il confronto possa arricchire dovrebbe sorprendere ognuno di noi: la cultura della condivisione da una parte, la coscienza del welfare come laboratorio di sperimentazione, perfettibile e aperto ad assorbire nuovi stimoli dall’altra parte, devono contaminare sempre di più gli addetti ai lavori del welfare.
Questa connotazione è in linea con i nuovi caratteri che il welfare aziendale più in generale va assumendo:
- sempre più oggetto di comunicazione all’esterno;
- orientato al territorio;
- dedito all’innovazione sociale.
Ma veniamo al cuore del Life@Work Index.
La capacità intrinseca che possiede è quella di riuscire ad entrare nel profondo del piano welfare, acquisire una radiografia dei processi più che scattare una fotografia superficiale dell’intero piano di welfare aziendale. Entrando così nell’intimo, questo indice dona risultati sia in termini assoluti (cosa fa l’azienda e con quali risultati) sia relativi (cosa fa e con quali risultati rispetto a un benchmark).
Entriamo sempre più nel concreto.
La metodologia Life@Work Index è caratterizzata principalmente da 2 fasi: fase LAB e fase PEOPLE.
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Nella fase LAB, l’azienda è coinvolta fin da subito.
Questo primo momento è caratterizzato da:
- Condivisione di dati. Questi, raccolti attraverso un questionario, provengono dal cuore del proprio piano di welfare (si tratta di coperture, utilizzi, economics, obiettivi) oltre a dimensioni più innovative quali il corporate branding e l’innovazione sociale perseguiti attraverso le policy di welfare aziendale.
- Analisi della popolazione aziendale dal punto di vista socio-demografico. L’obiettivo è di ricavarne potenziali fabbisogni sociali. Le analisi avvengono attraverso interviste più approfondite con i referenti del welfare e le altre figure manageriali, che consentono di comprendere più da vicino aspetti più immateriali, quali la cultura propria dell’azienda verso il welfare, i nuovi driver di sviluppo del piano di welfare e altre considerazioni di merito.
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Successivamente, entra in gioco la fase PEOPLE.
In questo momento sono le persone che, attraverso la survey, forniscono due tipologie di letture:- Da un punto di vista socio-demografico, ulteriori informazioni-chiave riferite in particolare ai carichi di cura familiari, altrimenti non rilevabili in tutta la loro complessità;
- In ottica welfare aziendale, invece, dimensioni come il valore attribuito ai singoli servizi, la conoscenza degli stessi, la soddisfazione da parte dei reali utilizzatori;
- L’engagement, ovvero gli effetti prodotti dalle iniziative di welfare verso il lavoro e verso l’organizzazione.
Se guardiamo alla sostanza, come del resto le aziende sono abituate a fare, il valore aggiunto del Life@Work Index sta certamente nella possibilità di misurare la “performance del welfare aziendale”.
Quindi, confrontarla con un benchmark frutto di un’importante accumulazione di informazioni, ma ancor più nella capacità di cogliere quelle sfumature dei piani welfare che ad altri sfuggono, proprio quelle più critiche.
Cosa significa misurare le performance del welfare aziendale?
Da un lato, il riferimento è al beneficio tangibile, che circoscrive i confini di un piano di welfare utilizzato dall’azienda e ne valorizza i contenuti, i quali sono rappresentati da quanto l’azienda mette sul piatto in termini di somme, servizi e prestazioni erogati e quantificati in importi monetari.
Il beneficio tangibile è un indicatore che coglie il welfare in tutte le sue sfaccettature, molte delle quali sono spesso sconosciute non solo ai collaboratori, ma alle aziende stesse, e che dal canto suo rappresenta il primo valore oggettivo a partire dal quale possono svolgersi a cascata tutte le considerazioni del caso, con piena cognizione di causa.
Dall’altro lato, non possiamo tralasciare il cosiddetto beneficio intangibile, concetto di cui se ben ricordi, abbiamo già parlato diverse volte. Il beneficio intangibile misura quanto un buon piano di welfare arriva al cuore dei lavoratori.
Un piano generoso, ricco dal punto di vista del tangibile, non è detto che faccia rilevare un pari impatto intangibile, e viceversa. Alcune variabili infatti, come il valore attribuito dai lavoratori a un certo servizio, la soddisfazione nella sua fruizione e le modalità con cui esso viene offerto impattano parecchio su come il welfare viene percepito dai lavoratori.
Spingiamoci ancora un pochino oltre.
Immaginiamo due iniziative identiche.
Il benessere maggiore sarà prodotto da quel servizio che è fornito chiavi in mano, senza che il lavoratore debba contribuirvi, oppure da quello messo volontariamente a disposizione dell’azienda e non in virtù di un obbligo contrattuale a cui occorre ottemperare?
Non solo il quanto, dunque, ma anche il come rileva e rappresenta una leva di importanza cruciale per migliorare un piano di welfare e i relativi impatti, anche a risorse invariate, semplicemente modificando le modalità di erogazione o adottando piccoli accorgimenti strategici.
Ora possiamo dare una risposta alla domanda che ci siamo posti inizialmente.
L’importanza di misurarsi per creare engagement è un mix di benefici percepiti concretamente e positivamente dai collaboratori. Maggiore è la loro soddisfazione per i servizi welfare messi a disposizione dall’azienda, maggiori sono i livelli di produttività dei lavoratori nei confronti della stessa.
Mai come oggi, infatti, la vera sfida (ma anche l’opportunità) per chi fa welfare aziendale non è tanto quella di fare sempre di più, ma più spesso quella di alzare lo sguardo.