Rapporto felicità mondiale.
03 July 2019

Il report della felicità

Utilizziamo classifiche, consigli, soluzioni ed elenchi per qualsiasi cosa. Perché non servirsene anche per quei sentimenti intangibili che reputiamo i più importanti per la nostra sopravvivenza?

Più i lavoratori sono felici, più sono produttivi.

Non è una frase messa lì per caso, non è una filastrocca, non è una ipotesi teorica spacciata per la realtà vissuta da pochi privilegiati.

Vedi, la mentalità italiana è troppo lontana da questi ideali. Non siamo ancora pronti!

Invece è un assunto semplice, logico e, se ci pensiamo per qualche minuto in più, ragionevole.

Quando ci sentiamo bene con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda siamo maggiormente propensi ad impegnarci e ad investire tempo proficuo nelle attività della nostra vita. Questo accade al di fuori del lavoro.

Le nostre caratteristiche comportamentali non differiscono particolarmente dalla vita privata e da quella professionale, gli elementi che ci motivano e ci stimolano a compiere particolari azioni sono bene o male gli stessi.

Perché, dunque, non potremmo essere motivati ugualmente all’interno dell’ambiente lavorativo?

Ma ecco che ci sorge una domanda più specifica e spontanea, cosa significa “sentirsi bene”?

Il World Happiness Report può fornirci risposte concrete. Si tratta di un’analisi svolta annualmente dall’Happiness Research Institute di Copenaghen con il fine di rilevare l’evoluzione dei livelli di felicità di 156 Paesi.

I parametri di cui si tiene conto per valutare il livello di qualità della vita delle persone, sono molteplici e riconosciuti, tra cui il PIL pro-capite, le aspettative di vita, i livelli di corruzione la libertà di scelta dei cittadini.

Dall’analisi del 2019 risulta che le persone più felici vivono nei 3 Paesi Scandinavi.

Sarà un caso che i Paesi del nord sono considerati come punto di riferimento europeo relativamente al livello di qualità della vita?

I livelli di disoccupazione sono bassi, l’impegno delle persone è maggiore. Possiamo dire lo stesso della media del nostro Paese?

L’esperimento di abbassare il tempo trascorso sul luogo di lavoro da 8 a 6 ore giornaliere avvenuto nei Paesi nordici ha influito positivamente sull’impegno dei lavoratori, la produttività è aumentata e le attività sono svolte con maggiore attenzione.


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