Il ciclo vitale del welfare

Il ciclo vitale del welfare aziendale: dalla progettazione all'implementazione, e ritorno

L’esperienza maturata all’interno delle tante imprese con le quali collaboriamo ci mostra come le determinanti di un piano di welfare di successo siano sostanzialmente due: da un lato, i suoi contenuti, i servizi in esso ricompresi; dall’altro lato, la comunicazione, le strategie e gli strumenti utilizzati per trasmettere ai lavoratori e a tutti gli stakeholders il senso e il valore di quanto è a loro disposizione. Un piano di welfare scarno e male assortito, benché ben comunicato, provocherà infatti frustrazione nei lavoratori; parimenti, un piano completo, ineccepibile sul piano dei contenuti, ma comunicato in maniera grossolana, attivando canali non adatti, rappresenterà un’occasione mancata per azienda e lavoratori, generando anch’esso frustrazione.

All’interno delle aziende, tuttavia, non è stato ancora compreso in maniera diffusa come la comunicazione sia una leva strategica per il successo di un piano di welfare, non solo per informare i lavoratori delle misure disponibili, ma soprattutto per innescare in loro coinvolgimento, partecipazione verso queste. Diversa, invece, è la situazione rispetto ai contenuti, rispetto ai quali tutti sembrano essere d’accordo: un piano di welfare che centri gli obiettivi che l’azienda si è posta e, al tempo stesso, generi soddisfazione, engagement, valore nei lavoratori, deve muovere da contenuti ben individuati, che si calano nella realtà aziendale.

Vale dunque la pena partire da questi e spendere qualche riflessione sul tema della progettazione, vera e propria sfida (iniziale) in capo alle aziende le quali, peraltro, a rigor di logica prima creano i contenuti dopodiché li comunicano.

Alimentare il piano di welfare con un set di servizi coerenti con le strategie dell’azienda, percepiti dai lavoratori come un valore e la cui fruizione sia accessibile per questi ultimi e sostenibile per l’azienda, è operazione tutt’altro che banale; in buona sostanza, è questo l’obiettivo della progettazione. Una buona progettazione, d’altronde, è condizione necessaria, benché non sufficiente, per la buona riuscita di un piano di welfare: partire dall’esistente, guardare dove l’azienda vuole andare, con quali aspettative sia quest’ultima sia i lavoratori vi si approcciano, infine tirare le fila, sono le fasi del processo in estrema sintesi. Ma guardiamole più nel dettaglio.

La prima fase è quella dell’analisi dell’esistente, dell’as is - come più spesso si sente dire – in cui si prova a immortalare un processo di per sé dinamico, estremamente fluido. L’oggetto di analisi di questa prima fase è duplice: da un lato, lo studio analitico dell’attuale strutturazione del piano di welfare, con l’evidenza dei servizi offerti e degli effettivi utilizzi, dei bisogni coperti ed eventualmente scoperti, e non ultimo, dell’effort sostenuto dall’azienda in termini economico-organizzativi; dall’altro lato, la composizione della popolazione da un punto di vista sociale e demografico, per comprendere in maniera oggettiva chi ha di fronte l’azienda, quali trend di mutamento sono in atto e quali possono essere i fabbisogni impliciti e futuri di quelli che altro non sono che i potenziali fruitori del piano di welfare.

Questo primo passaggio, in cui è l’azienda che condivide le informazioni a sua disposizione, è fondamentale per comprendere il terreno sul quale si andranno, nel prosieguo, a seminare opportunità (di copertura) nuove, a innervare di linfa aree (del bisogno) che necessitano di intervento, ed eventualmente, a lasciare che quei rami (di servizi) che da un’analisi costi-benefici risultino non più vitali o inefficienti, vadano a essiccarsi non essendo più alimentati.

La fase successiva è quella dell’ascolto, sia dell’azienda sia dei lavoratori. I referenti aziendali, di area welfare ma non solo, sono infatti in grado di fornire spunti che – dal generale al particolare – si rendono necessari per comprendere innanzitutto la cultura aziendale, ovvero la cornice all’interno della quale si collocano le iniziative di welfare; inoltre, evidenziano le strategie e gli obiettivi che il management si pone di realizzare specificamente attraverso il welfare e, infine, offrono spunti per ragionare intorno alle criticità riscontrate e agli adattamenti che si rendono necessari sul piano pratico. 

Ma non è tutto, perché anche i lavoratori, dal canto loro, rappresentano una fonte estremamente preziosa per chi si prefigge di realizzare una buona progettazione: le aspettative, le priorità, chiavi di lettura riferite ai bisogni attuali e futuri, la soddisfazione verso i servizi già ricompresi nel paniere, oltre a dimensioni sociali e familiari che solo attraverso l’ascolto diretto possono recuperarsi, rappresentano un patrimonio di informazioni, valutazioni e stimoli che non ci si può permettere di lasciare per strada quando si imbocca il percorso della progettazione di un piano di welfare.

Le modalità per realizzare la fase dell’ascolto sono molteplici, e non necessariamente tra loro alternative, anzi una certa complementarietà sarebbe auspicabile; ovviamente, queste variano dalle caratteristiche dell’azienda, al punto che non tutte possono essere sempre o agevolmente realizzabili. Bene, tuttavia, può coesistere una survey rivolta all’intera popolazione, con momenti di ascolto più in profondità, realizzati attraverso focus group o interviste one-to-one che coinvolgono alcuni cluster di lavoratori; anche sul fronte dell’azienda funziona allo stesso modo, con colloqui in profondità che possono coinvolgere alcuni referenti aziendali, e che possono integrarsi con focus group, laboratori e momenti di confronto rivolti invece a un panel più ampio di manager, e che assortiscono il set di informazioni, certamente più “fredde”, trasmesse nella fase dell’analisi.

Naturalmente, il coinvolgimento più o meno ampio dei lavoratori nei progetti di avvio o ridisegno di un piano di welfare aziendale ingenerano in questi delle aspettative che non possono andare sottovalutate: una risposta non soltanto dovrà esserci, ma necessariamente dovrà essere di qualità, in linea con le attese di partenza e con quelle via via ingenerate, oltreché con la mole di attività realizzate nel corso della progettazione.

Dall’as is - come lo abbiamo definito prima - al to be, che emerge in questa seconda fase, la sfida successiva è quella di effettuare una sintesi degli spunti emersi, in termini di nuovi servizi da introdurre, modalità di fruizione, riallineamento dell’esistente, oltre a eventuali accorgimenti da cogliere, errori da non ripetere e una eventuale riparametrazione dell’effort aziendale.

Il fine ultimo – ca va sans dire - è muovere progressivamente verso l’ottimo il piano di welfare, che per definizione resta un sistema perfettibile e, al tempo stesso, da manutenere con costanza, perché d’altro canto mutano le persone all’interno dell’azienda e le rispettive esigenze, mutano il mondo (e il welfare) al di fuori dell’azienda, e muta l’azienda stessa, nel suo “fare impresa” ed “essere impresa”.

Conclusa questa fase il piano di welfare è pronto per l’implementazione. E il ciclo, è pronto per ripartire. 


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