L’evoluzione del welfare aziendale, complici gli ultimi interventi normativi, ha creato un solco ancora più profondo, tra due modi di concepire e fare welfare aziendale. Non è più una questione di stabilire se ci sia un modo più corretto dell’altro di agire, semmai è opportuno chiarire la distinzione tra i due modelli, in modo tale che possano essere compresi come due cose tanto diverse quanto complementari e potenzialmente coesistenti.
Da un lato il welfare aziendale come insieme composito di dispositivi di integrazione al reddito e dall’altra come strumento che motiva e che al tempo stesso migliora la qualità della vita.
Però un welfare aziendale in linea con la soggettività delle persone richiede la transizione da un modello verticale in cui l’azienda rileva e interpreta i bisogni dei lavoratori decidendo di cosa si compone l’offerta di welfare aziendale, ad un modello più orizzontale fatto di ascolto dei bisogni come base per delineare una gamma sempre più ampia di opportunità per i lavoratori, che poi però dovranno sempre poter esercitare le proprie scelte in piena autonomia.